giovedì 30 maggio 2013

Carlo Cattaneo: federalismo e nazione armata


Da Gaetano Salvemini - Scritti sul Risorgimento (Vol.2) pag. 384-388

II  federalismo

Nella  crisi  di  assestamento,  che  la  Lombardia  e  l’Italia  intera attraversarono  dopo  l’armistizio  di  Villafranca,   gli  attriti  del 1848 fra Cattaneo e i moderati rinacquero  asprissimi.   "Negli impieghi regi, e dovunque è questa gente,  io sono impossibile”  rispondeva  Cattaneo  a un amico, il quale lo invitava  a collaborare  al nuovo regime  (SPE,  II,  174). I moderati lo ricambiavano a misura di  carbone, gli negavano gli arretrati di membro dell’Istituto lombardo,  sequestratigli  da Radetzky; facevano  rifiutare  da  Cavour  la  sua  nomina  a  segretario  dell’Istituto; tentavano  negargli   anche  la  qualità  di  cittadino  italiano,  perché aveva ottenuto dalla  Svizzera  la  cittadinanza  d’onore;  gli contestavano  il  godimento della pensione; lo assalivano  sui  loro  giornali  come  amico  dell’Austria   e  nemico del Piemonte e dell’Italia.

Per  le  elezioni  politiche  del  marzo  1860,  essendo  stata  lanciata  l’idea patto di una sua candidatura, le polemiche si esasperarono. Egli dapprima rifiutò di concedere  il suo nome  ai  comitati  elettorali.  Via  facendo  le invettive  degli avversari  e le insistenze degli amici lo piegarono; consentì tre giorni prima della  votazione,  per  telegrafo,  senza  programma. Fu  eletto in tre collegi. Ma non poteva, per le necessità della vita, abbandonare l’ufficio di insegnante a  Lugano.  Gli  ripugnava  il  giuramento  di  fedeltà alla monarchia.  Eppoi, se aveva in sommo grado la passione politica, cioè l’interesse vivace per i problemi di pubblica  utilità,  era totalmente privo della passione parlamentare, cioè del bisogno di affrontare i problemi solo in quanto essi possano servire alle fortune politiche  di un gruppo o di un individuo; e non provava nessun gusto per le schermaglie inevitabili in un’assemblea di deputati: “Quanto al Parlamento, io non posso lusingarmi nemmen lontanamente di aver la forza d’affrontare  quasi solo, e affatto inesperto, un’assemblea  dove sono a centinaia  gli uomini,  se non  tutti lealmente persuasi, certo irremovibilmente  legati in un pensiero,  ch’è contrario al mio (SPE,  II, 256);  il mio Parlamento io me lo tengo  meglio in casa” (SPE, II, 240). Preferiva  servire il paese,  trattando  per  iscritto  le  questioni,  che  via  via  si presentavano,  e cercando di orientare su di esse la opinione pubblica.

Perciò nel gennaio  del  1860 riprese la  pubblicazione  del Politecnico, con  lo  stesso  programma  dell’antico:  “adombrare  in  agevoli  forme i più nuovi pensamenti della scienza, e porgere pratico lume ai promotori della patria coltura  e prosperità”  (SPE, II, 188),  “Ragionare  di  scienza  e  d’arte non è sviare le menti dal supremo pensiero della salvezza e dell’onore della patria. La legislazione è scienza; la milizia è scienza; la navigazione è scienza. Alla luce della fisica e della chimica  si vanno trasformando  tutte le arti onde si nutrono  i popoli  e s’ingrossano i nervi  della  guerra. L’agricoltura, vetusta  madre  della nostra  nazione, sta per  tradursi  tutta in calcolo scienti­fico. Scienza è forza”  (SPE, II,  178).  “Noi  non  possiamo  rinchiuderci  a lungo in un solo argomento.  Noi  qui non dobbiamo scrivere a fondo una o un’altra opera:   noi  per  quanto  valgano le  nostre  forze, vogliamo  agitare  tutta la  scienza, svegliare tutti gli interessi, gettare a destra e a sinistra i nostri studi per suscitare e incalzare gli studi altrui, per  incitare e incalzare  i pen­sieri della nazione, le sue speranze, i voleri,  gli  ardimenti”  (OEI,  II, 336).

I “pensieri  dominanti”  in  questa  nuova  attività  di  pubblicista erano due: il federalismo amministrativo e la nazione armata.

Il federalismo è l’ordinamento politico, a cui ricorrono i popoli che vogliono  nello  stesso  tempo  assicurare  la  indipendenza  politica  di  ciascuno contro ogni ingerenza straniera, e mantenere nei rapporti reciproci la eguaglianza dei diritti e le originalità locali.

L’accentramento amministrativo, in un grande Stato, non può funzionare senza che si formi una numerosa burocrazia: e questa sarà portata per necessità di cose a costituirsi in casta dominante. Il paese che si sarà affidato incauto ad una burocrazia accentrata, credendola necessaria alla unità nazionale, si illuderà di essere libero, se avrà accanto alla burocrazia un parla­mento elettivo. Ma un controllo efficace dei deputati sull’opera giornaliera di una burocrazia numerosa non sarà possibile mai. Inoltre i deputati di un parlamento unico non possono avere la  competenza  necessaria  per  risolvere problemi di amministrazione, di rapporti economici, di contratti agrari, di diritto familiare, ecc., i quali variano profondamente dall’una all’altra regione: la difficoltà è massima  in un paese cosi vario come l’Italia: che cosa può capire un piemontese o un lombardo di ciò che può essere necessario a sistemare difficoltà speciali della Sardegna e della Sicilia? e dove troverà un parlamento unico il tempo per discutere tutta la catasta degli affari che lo accentramento amministrativo e legislativo sottrae ai consigli locali per incanalarli verso la capitale, sede unica di tutta la sapienza e di ogni autorità? Nella pratica, le questioni saranno decise, non dal parlamento, ma dalla bu­rocrazia. E il paese sarà lo schiavo degli impiegati governativi, e di quei gruppi di politicanti, che riesciranno a impadronirsi del governo centrale col favore della burocrazia.

Il governo federale, invece, a tipo svizzero o americano, affida agli uffici centrali le sole funzioni politiche d’interesse nazionale, e cosi riduce al minimo la burocrazia della capitale, e permette su di essa un reale controllo del parlamento centrale; conserva alle amministrazioni  locali, più vicine agli interessati,  tutta la direzione della vita locale, e permette cosi che tutti gli affari locali siano definiti  direttamente  dagli  organi locali  elettivi;  e anche quelle pratiche, di cui è necessario far delega ai funzionari  di carriera, rimangono  sempre  sotto la sorveglianza  immediata  degli  interessati.  
Per questa via, si evita il sorgere in tutto il paese di una burocrazia incontrollabile e quindi irresponsabile,  e  si concilia la libertà degli individui e delle amministrazioni locali, con la necessità di garantire per  mezzo  della unità nazionale, la libertà di tutti contro ogni prevaricazione straniera.
Ed è anche questa la via per evitare, fra le diverse parti della nazione, i contrasti indecorosi e pericolosi del dare ed avere: perché nelle assemblee le maggioranze sono sollecite solo di se stesse; e in un’unica assemblea nazionale che invada il campo degl’interessi locali,  avverrà sempre che gl’interessi locali degli uni saranno sacrificati agl’interessi locali degli altri nella grande concorrenza che tutti istituiranno  intorno al bilancio dello Stato. Dove invece il governo centrale riduce al minimo le sue funzioni ivi non si hanno sopraffazioni e non sorgono discordie.
“La  mia  formula - scrive a Francesco Crispi il 12 luglio 1860, - è Stati Uniti, se volete Regni Uniti: l'idra di molti capi, che fa però una bestia sola. I siciliani potrebbero fare un gran beneficio all’Italia, dando all’annessione il vero senso della  parola, che non è assorbimento. Congresso comune per le cose comuni e ogni fratello  padrone  in casa sua. Quando ogni fratello ha la casa sua le cognate non fanno liti.  Fate  subito, prima di cadere in balia di un Parlamento generale, che crederà fare alla Sicilia una carità, occupandosi di essa tre o quattro sedute all’anno. Vedete la Sardegna, che dopo dodici anni di vita parlamentare sta peggio della Sicilia” (SPE, II, 263-264).
L’idea di “decentrare l’amministrazione,"cioè di trasferire ad uffici governativi periferici le funzioni degli uffici governativi centrali, non tro­vava in Cattaneo nessun favore: perché tutto si riduceva ad affidare sempre la pubblica  amministrazione  ad una burocrazia  nominata e pagata dalla capitale salvo a discutere poi se questa burocrazia dovesse comandare il paese stando nella capitale o dislocandosi nelle provincie in forma  di  satrapie. Quel che occorreva, era impedire il formarsi della casta burocratica,  creando il maggior  numero  possibile di autonomie legislative ed elettive locali, e trasferendo al parlamento nazionale i soli affari di vero interesse comune.

La nazione armata

Con l'idea federalista  fa  sistema unico quella della nazione armata. L’esercito stanziale a tipo francese  e piemontese, quale era prima del 1870, non coscriveva che una parte minima della popolazione atta alle armi, e la sottoponeva a lunghe ferme sotto una  gerarchia  di  militari  di  professione costituiti in casta  chiusa e avvezzi  a considerarsi come superiori ed opposti al restante corpo civile della nazione. Siffatto ordinamento, osservava Cattaneo, ottimo per  imporre la volontà dei governanti a un gregge di sudditi disarmati, riusciva  inadeguato  come  strumento di difesa nazionale: perché lasciava  inerti, in caso di guerra, enormi riserve di forze umane, e consumava durante la pace negli stipendi degli ufficiali e nel  mantenimento dei soldati quelle risorse economiche, di cui sarebbe stato necessario far tesoro durante la guerra.
All'esercito stanziale, Cattaneo contrapponeva la nazione armata, quale si trovava ordinata nella Svizzera: tutti i cittadini obbligati al servizio militare, ma non allontanati dalle loro case e dalle occupazioni consuete, non chiusi per lunghi mesi nelle caserme a esaurirsi in esercizi meccanici inutili alla guerra, o a poltrire in ozio improduttivo; bensì educati al servizio militare fino dai primi anni, nelle scuole di tutti  i gradi, e tenuti  ad addestrarsi alle armi in esercitazioni festive continuate, e chiamati alle manovre per pochi giorni, a periodi fissi. Anche gli ufficiali, salvo i piccoli nuclei permanenti, che fossero necessari a tenere in efficienza e a perfezionare i servizi specializzati, avrebbero dovuto apprendere nelle scuole medie e universitarie le discipline militari opportune per ciascuna specialità, e vi­vere delle loro professioni civili, salvo ad esercitarsi nelle stesse condizioni delle masse non graduate: dovevano avere i loro "gradi" nell'esercito, ma non godere "stipendi" militari stabili. "Militi tutti, soldato nessuno" (SPE, I, 245). "Sovratutto é mestieri atteggiare tutto il corpo della nazione ad un modo di difesa il quale, armando il massimo di forze gratuite e il mini­mo di constantemente assoldate, tanto meno ne prodighi negli intervalli della pace, quanto piú ne possa accumulare nei terribili istanti della guerra. E' questione economica che si traduce in questione militare, la quale da ultimo si risolve in un problema di diritto pubblico e di morale. Poiché tutti gli interessi, i pensieri e gli affetti d'ogni singolo cittadino, d'ogni singolo stato, e dell'universa nazione, all'istante del conflitto divengono elasticità, impeto e potenza" (SPE, II, 198).
Messo su queste basi, il problema dell'ordinamento militare si trasformava in problema di ordinamenti scolastici e di libertà interne. Soprattutto di libertà interne: perché solamente a un popolo, che si sentisse padrone di sé e non soggetto a una piccola consorteria di governanti, si poteva conse­gnare le armi senza pericolo che le volgesse contro chi gliele aveva date; solamente da un popolo, per cui la politica estera non fosse un mistero im­penetrabile e che vedesse chiaramente nella guerra la sola via della propria salvezza contro un'aggressione ingiusta, solo da quel popolo si poteva aspet­tare la consapevolezza, la concordia, lo slancio, senza cui non esiste né spirito di resistenza né accettazione del sacrificio.
E il problema delle libertà interne era problema di libertà amministra­tive, cioè di federalismo. Un regime burocratico non può perpetuarsi senza che esista una casta militare accanto alla burocrazia civile. Il gruppo, il qua­le arriva a impadronirsi del governo centrale, mentre opprime e sfrutta gior­no per giorno il paese con la macchina silenziosa della burocrazia, ha bisogno di una organizzazione armata estranea al paese, per domare con la for­za gli scoppi di malcontento extra legale. L'accentramento amministrativo esige l'esercito stanziale. Ordinamento federale e nazione armata sono lo stesso problema di libertà nazionale, risolto dal punto di vista civile e dal punto di vista militare. "Una nazione che mette quattrocentomila gladiatori ad arbitrio d'uno o di pochi, sarà sempre serva degli altrui voleri. E le stesse forme della libertà diverranno occasioni di corruttela. La Francia, si chiami repubblica o regno, nulla monta, è composta di ottantasei monarchie che hanno un unico re a Parigi. Si chiami Luigi Filippo o Cavaignac; regni quattro anni o venti; debba scadere per decreto di legge o per tedio di popolo; poco importa; é sempre l'uomo che ha il telegrafo e quattrocentomila schiavi armati" (SPE, I, 275).

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